BORGES, L’ALEPH E IL CALEIDOSCOPIO
L'Aleph è il titolo di un racconto fantastico del celebre scrittore argentino Jorge Luis Borges contenuto nell'omonima raccolta, pubblicata per la prima volta nel 1949. Ha affascinato un gran numero di lettori, ma forse pochi sanno, che fu proprio un caleidoscopio a ispirarlo.
«L’Aleph?» ripetei. «Sì, il luogo dove si trovano, senza confondersi, tutti i luoghi della terra, visti da tutti gli angoli. » (…) «Se tutti i luoghi della terra si trovano nell’Aleph, vi si troveranno tutti i lumi, tutte le lampade, tutte le sorgenti di luce».
J. L. Borges, Buenos Aires, 1949
Quarantacinquenne, quasi fosse un adolescente, Borges era solito colmare di regali la fidanzata, Estela Canto; tra i tanti le donò anche un caleidoscopio, che fu rotto dal figlio della donna delle pulizie. Proprio dai pezzettini di vetro che formano le figure del caleidoscopio trasse ispirazione per scrivere il racconto El Aleph. Ce lo racconta Josè Emilio Pacheco in occasione della sua quarta conferenza del ciclo Borges en su nacimiento, al Colegio Nacional di Città del Messico: “La caratteristica di L’Aleph è che vede soltanto il presente; sta allo spazio come l’eternità sta al tempo”.
Borges conobbe la Canto a casa Bioy Casares: uscivano insieme, lui beveva latte lei whisky, finì per innamorarsi. Quando la chiese in sposa lei rispose affermativamente a patto di andare prima a letto insieme. Lo scrittore, terrorizzato, pose fine al rapporto, pensando che, evidentemente, la sua Beatrice l’aveva già fatto con altri uomini. Ma le aveva già affidato il manoscritto, scritto per lei, affinché lei battesse a macchina. Quando negli anni Ottanta la Canto gli chiese il permesso di venderlo (alla modica cifra di 26.000 dollari) Borges le rispose con che se lei voleva poteva anche andare in bagno a suicidarsi, così che l’autografo acquistasse maggior valore.
Al di là del dato autobiografico è interessante notare che proprio il giocattolo ottico sia all’origine di uno dei più bei racconti dell’argentino, che non manca di disseminare il testo di indizi (specchi, sovrapposizioni, trasparenze, simultaneità eccetera) che alludono proprio alla visione caleidoscopica. Lo stesso procedimento di replicazione per generare l'infinito era stato utilizzato precedentemente dallo scrittore, precisamente nella descrizione de La Biblioteca di Babele (contenuto in Finzioni, 1944): “L'universo (che altri chiama la Biblioteca) si compone di un numero indefinito, e forse infinito, di gallerie esagonali. […] Da qualsiasi esagono si vedono i piani superiori e inferiori interminabilmente. […] Nel corridoio è uno specchio, che fedelmente duplica le apparenze. Gli uomini sogliono inferire da questo specchio che la Biblioteca non è infinita (se realmente fosse tale, perché questa duplicazione illusoria?). Io preferisco pensare che queste superfici argentate figurino e promettano l'infinito… […] Io affermo che la Biblioteca è interminabile.”
Da notare, anche qui, la presenza di termini fortemente indicativi come indefinito, e forse infinito, interminabilmente, nonché di uno specchio (di nuovo!) che figura e promette l'infinito.
Inutile insistere sulla struttura effettiva della Biblioteca; è però lampante che siamo al cospetto del solito fenomeno di rifrazione, replicazione e moltiplicazione che caratterizza l’Aleph: da ogni esagono si sa come continua la visione, pur senza vederne l'intera infinità di celle.
Fabio Norcini